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LA STORIA NELL'ACQUA 

Il pozzo medievale di Campo della Fiera a Orvieto

Un carico di fornace 
(prima metà XIV sec.) 

“Fatto tutto questo, porgonsi preghi a Dio con tutto il core, ringratiando sempre di tutto ciò ch’egli ci dà” 
(Cavalier’ Cipriano Piccolpasso Durantino, 
Li tre libri dell’arte del vasajo, 1524-1579). 

Questa era la prima raccomandazione che il Piccolpasso, trattatista di XVI secolo, suggeriva ai ceramisti nella fase di cottura; tuttavia non sempre il consiglio era sufficiente. 
L’arte vasaia nel territorio orvietano ha una storia consolidata nei secoli e diventa un tratto identificativo della stessa città a partire proprio dall’età medievale. 
La documentazione storica testimonia l’attività di vascellari all’interno della vita cittadina dal XIII fino al XVII secolo. Sul fondo del pozzo sono stati rinvenuti due cospicui lotti di ceramica, pertinenti a scarti di fornace. La quantità, associata ad alcuni caratteri degli stessi manufatti, consente di ipotizzare la presenza di una bottega per la produzione di Maiolica arcaica  posta a poca distanza dal pozzo in cui furono scaricati le terrecotte inutilizzabili e gli scarti dell’atelier. 
Il gruppo più numeroso riguarda ceramica fine da mensa (boccali, vascelli, panate e anche tazze) che, a causa della mancanza di ricambio d’aria nella camera di cottura, ha subito un annerimento e un’eccessiva cottura degli smalti. Sotto lo strato nero, che ne contraddistingue le superfici, è possibile ancora oggi notare ornati di tipo geometrico, vegetale, araldico (fig. 1) o la presenza di protomi antropomorfe. Non mancano poi anche esemplari di biscotti (fig. 2), ovvero stoviglie che hanno subito la prima cottura, pronte per essere rivestite, ma scartate per difetti di fabbrica come spaccature o depressioni delle pareti. Interessante è inoltre una grossa brocca priva di rivestimento, sulla cui superficie sono stati effettuati alcuni schizzi con carboncino, tra cui il bozzetto di uno scudo araldico (fig. 3), testimonianza dell’attività manifatturiera che aveva luogo nell’area di Campo della Fiera.

Panata con decoro  di tipo araldico

1. Panata con decoro 
di tipo araldico

2. Biscotto di un vascello con pigne a rilievo

2. Biscotto di un vascello 
con pigne a rilievo

3. Biscotto di una brocca con bozzetti in carboncino

3. Biscotto di una brocca 
con bozzetti in carboncino

La peste in fondo al pozzo
Il butto di Maiolica arcaica (XIV sec.)

“...ché non solamente il parlare e l’usare con gl’infermi dava a’ sani infermità o cagione di comune morte, ma ancora il toccare i panni e qualunque altra cosa…”
(G. Boccaccio, XIV sec., Decameron, 
Introduzione alla prima giornata)

Secondo le fonti d’archivio, il Trecento fu probabilmente uno dei momenti maggiormente floridi della produzione ceramica a Orvieto. A tale arco cronologico, accanto alle più esigue testimonianze di XIII secolo (tra cui una truffetta e la fiasca di un pellegrino), va attribuita la maggior parte delle Maioliche arcaiche che si possono ammirare in questa esposizione. Le stoviglie, ancora una volta pertinenti quasi esclusivamente a forme chiuse, ricalcano i caratteri tipici della produzione locale. Tali recipienti erano fregiati da decori realizzati nella tipica bicromia verde e bruno e riproducevano ornati di genere differente che sembrano cambiare nel corso del XIV secolo, caratterizzando vere e proprie mode e tendenze. Nella prima metà del secolo sembra attestarsi una varietà maggiore sia a livello morfologico che decorativo.
La maggior parte dei vasi viene probabilmente gettata volontariamente nel pozzo, perché ritenuto infetto a causa della peste che verso la metà del secolo non risparmiò neanche la Rupe e i suoi dintorni. Questo è anche il periodo nel quale il pozzo cessa di essere usato, viene smantellato nella sua parte alta e privato della stessa ghiera, rinvenuta all’interno dei depositi stratigrafici della cavità.
Il corredo ceramico si articola in vascelli con alto piede, panate con becco a pellicano e boccali con alto collo, ornati con motivi geometrici, vegetali, raffigurazioni di animali, creature fantastiche, scudi araldici, armi o monogrammi. Non mancano poi le raffigurazioni legate al bestiario mitologico, come grifoni (fig. 1) e sirene (fig. 2). Tra i richiami a famiglie locali, interessante è il boccale con un palco di cervo, probabilmente riferibile alla famiglia degli Ubaldini della Carda (fig. 3), di cui Tanuccio fu capitano del popolo di Orvieto nel 1352. I boccali con protomi antropomorfe, scandite da campiture a graticcio e applicazioni di pigne a rilievo, sono tipici della produzione locale. 
Una maggiore standardizzazione, morfologica e decorativa, si registra nella seconda metà del secolo tra i materiali provenienti dallo strato subito al di sopra della prima defunzionalizzazione del pozzo. In questo periodo, la forma più affermata è quella del boccale con orlo trilobato, decorato da motivi molto più semplici di tipo geometrico o vegetale, che campiscono l’intero corpo ceramico, a scapito di morfologie e decori più articolati (fig. 4).

1. Boccale con grifone

1. Boccale con grifone

2. Boccale con sirena
3. Boccale con blasone degli Ubaldini della Carda

3. Boccale con blasone degli 
Ubaldini della Carda

4. Boccale con decoro vegetale

2. Boccale con sirena

4. Boccale con decoro vegetale

Le brocche della fiera (XV-XVI sec.)

“Bonanotte ar secchio”
(antico adagio romano)

La nota espressione romana, riferita proprio alla facilità con cui si poteva perdere un recipiente mentre si tentava di tirar su l’acqua da un pozzo, rende bene l’idea della modalità di formazione del cospicuo tesoro vascolare di Campo della Fiera, costituito quasi esclusivamente da boccali. È tra XV e XVI secolo che l’acqua acquista nuove sfumature e nuovi colori. Si assiste infatti all’introduzione di una nuova palette di colori che adorna le stoviglie. Il blu, il verde e il giallo/arancio, compaiono nel corso del XV secolo sulle Maioliche italiane, fregiando nuovi generi decorativi, tra cui anche ornati epigrafici ben auguranti, sul contenuto del vaso o anche semplici dediche. Tra le brocche rinascimentali si notano decori ricchi e articolati che ricoprono ancora quasi tutto il corpo ceramico. Diverse sono le testimonianze della tipica brocca di produzione orvietana, con rosone centrale e raggi folgoranti (fig. 1). Frequenti sono i richiami a mercati toscani, tra cui un piccolo recipiente campito con motivo a coda di pavone (fig. 2) o una piccola bottiglia che imita i lustri di ateliers d’oltremare. Nel corso del XVI secolo le produzioni locali risentono maggiormente dell'influenza altolaziale, con motivi limitati quasi esclusivamente a grandi medaglioni sul ventre dei boccali, così come si registrano importazioni dall’area di Deruta o da Roca. Ancora una volta, accanto a decori vegetali e geometrici, non mancano blasoni di nobili famiglie del territorio, come ad esempio i Farnese (fig. 3), gli Orsini (fig. 4) o i locali Monticelli. 
Numerosi sono gli esemplari di brocche/orcioli in ceramica non rivestita, tra cui si annovera una forma caratteristica delle produzioni orvietane di questo periodo, raffigurata nell’Emblema dei vasai delle Arti di Orvieto del 1602.

1. Boccale con rosone e raggi folgoranti

1. Boccale con rosone 
e raggi folgoranti

2. Boccale con decoro a coda di pavone

2. Boccale con decoro  
a coda di pavone

3. Boccale con blasone dei Farnese

3. Boccale con blasone 
dei Farnese

4. Boccale con blasone degli Orsini

4. Boccale con blasone 
degli Orsini

Epilogo
L’abbandono del pozzo (XVII sec.)

 

I rinvenimenti di ceramiche relative ai decenni finali di utilizzo del pozzo e dello stesso sito di Campo della Fiera, documentano la riconversione dell’area a un uso ormai esclusivamente agricolo. I depositi archeologici hanno infatti restituito una serie di brocche riferibili sia alla classe delle acrome e prive di rivestimento, sia alla tipologia nota agli studiosi come Slip Ware, oltre a una serie di ceramiche per la cottura di alimenti. 
Già a partire dalla seconda metà del XV secolo, accanto ai vasai che producevano stoviglie più pregiate come le maioliche, iniziano a diffondersi artigiani specializzati nelle ceramice per uso domestico e da cucina: i cosiddetti “pignattari”. Documentate anche da fonti d’archivio, le botteghe dei pignattari erano diffuse in tutto il territorio, tra cui ad esempio i diversi empori di Castel Viscardo o Valentano. Le stoviglie sembrano ricollegarsi a manifatture di fine XVI - prima metà del XVII secolo, pertinenti a rari esemplari di contenitori in ceramica acroma, oppure ai più numerosi recipienti a impasto grezzo rivestito. Oltre a qualche ceramica da cucina, il gruppo della Slip Ware più interessante è costituito da alcune forme funzionali proprio a captare l’acqua del pozzo. Si tratta principalmente di grosse brocche monoansate e con becco allungato (figg. 1-2), oppure brocche più contenute con cannello per versare i liquidi (fig. 3). In entrambi i casi una costante è il decoro vegetale stilizzato che ne orna la spalla e l’ansa. 

1. Brocca in bicromia giallo e verde

1. Brocca in bicromia 
giallo e verde

2. Brocca in monocromia gialla

2. Brocca in monocromia 
gialla

3. Brocca con cannello in monocromia gialla

3. Brocca con cannello 
in monocromia gialla

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